martedì 12 gennaio 2016

L' ILVA DI TARANTO MORIRE PER LAVORARE grazie ei politici

Good morning Diossina", il caso dell'Ilva di Taranto raccontato da Angelo Bonelli Il portavoce dei Verdi ha ricostruito in un libro gratuito e scaricabile online il disastro ambientale della città pugliese. Nel testo anche documenti inediti che dimostrano le responsabilità della pubblica amministrazione. L'autore: "Guardare a Bilbao e Pittsburgh, esempi di conversioni industriali virtuose" di GIOVANNI CEDRONE Invia per email Stampa 03 marzo 2015 1 "Good morning Diossina", il caso dell'Ilva di Taranto raccontato da Angelo Bonelli Il portavoce dei Verdi Angelo Bonelli LA TRAGEDIA di una città devastata dall'inquinamento dell'Ilva. Le lotte degli ambientalisti. La storia dell'iter giudiziario ancora in corso. E la speranza per un futuro "green" con tante proposte per la rinascita di Taranto. C'è tutto questo in Good morning diossina, il libro di Angelo Bonelli, portavoce dei Verdi e consigliere comunale a Taranto, che ha deciso di rendere il testo fruibile gratuitamente online per renderne più capillare la diffusione e far conoscere a più persone possibili la vicenda drammatica dell'inquinamento a Taranto. Un lungo percorso quello degli ambientalisti tarantini, che parte addirittura dal 31 gennaio 1971 quando viene convocata la prima manifestazione ambientalista intitolata "Taranto per un'industrializzazione umana" per arrivare all'esplosione del caso Ilva e all'intervento della magistratura nel 2012. Bonelli ripercorre le tappe più importanti di uno scandalo ambientale i cui effetti sono destinati a trascinarsi per decenni. Una vicenda che vede gravi responsabilità da parte di politici nazionali e locali che nel migliore dei casi hanno fatto finta di ignorare il grido di dolore che proveniva dai tarantini, un comportamento che in realtà spesso celava connivenze inconfessabili. Nel volume sono pubblicati documenti inediti dell'inchiesta "Ambiente svenduto", come la lettera dei carabinieri del Noe del luglio 2012, carte che dimostrano le responsabilità della pubblica amministrazione. LEGGI/GOOD MORNING DIOSSINA, IL LIBRO DI BONELLI SUL CASO TARANTO Il volume è anche l'occasione per mettere ancora una volta nero su bianco i numeri del disastro sanitario ed ambientale che ha colpito la città pugliese: la diossina sprigionata dalla fabbrica ha avvelenato l'aria, i terreni e le acque circostanti facendo aumentare la mortalità infantile (+21% rispetto alla media regionale) e le malattie tumorali nella fascia da 0 a 14 anni, secondo quanto riportato da uno studio dell'Istituto superiore di Sanità, oltre ad un aumento generalizzato delle patologie tumorali con picchi tra gli operai della fabbrica. La diossina è arrivata a contaminare anche il latte e le cozze. Eppure già dal 1991 l'area era stata dichiarata "ad alto rischio ambientale". Scorrendo le pagine appare chiaro come e perché nessun provvedimento concreto sia stato adottato in questi anni e perché ancora una volta sia dovuta intervenire la magistratura, con il sequestro disposto dal Gip Patrizia Todisco nel 2012, per fermare lo scempio in atto. Un impegno, quello di Bonelli, che va avanti da anni e che continua a portare avanti in prima persona anche per dare giustizia "alle tante storie di vita e di dolore" che, come spiega lui stesso nella postfazione, "lo hanno coinvolto emotivamente". Nel libro non c'è solo la denuncia ma è presente anche un'idea di città diversa: un vero e proprio programma per risollevare Taranto e farla diventare "il simbolo di una nuova rinascita dell'economia, dell'innovazione e della modernizzazione". Lei dal 2012 è consigliere comunale a Taranto. Com'è adesso la situazione in città? I cittadini sono soddisfatti della risposta delle istituzioni al loro dramma? Purtroppo vedo una città abbastanza rassegnata. I dati sanitari sono drammatici e il decreto Ilva approvato oggi viene visto con grande diffidenza da tutti tranne che da alcuni gruppi economici che avranno un vantaggio. Osservo una città che non riesce a vedere un futuro diverso come accaduto ad esempio a Bilbao, una città dei Paesi Baschi che aveva una situazione analoga a quella di Taranto. Un polo siderurgico che poi si è avviato alla conversione industriale anche attraverso l'utilizzo di un grande evento come l'Expo. Oggi quella città è una delle più importanti città del mondo dal punto di vista turistico e dal punto di vista dell'esempio della conversione industriale avviata. Taranto potrebbe essere questo e quindi c'è una sorta di rassegnazione nei confronti del governo e del Parlamento perché non si è voluta seguire la strada dell'innovazione e della conversione. Per seguire gli esempi virtuosi di conversione industriale che lei cita nel libro come Bilbao, Pittsburgh e il bacino dell Ruhr, quale sarebbe la prima cosa da fare a Taranto? Innanzitutto applicare il principio "chi inquina paga". Gli italiani devono sapere che il Ministero dell'Ambiente ha rinunciato alla determinazione del danno ambientale previsto dal Codice dell'Ambiente. Normalmente chi inquina dovrebbe pagare: questo vale in tutta Europa ma non in Italia. Chi ha esercitato l'attività siderurgica in quell'area ha provocato, secondo la procura della Repubblica di Taranto, un danno ambientale per 8 miliardi di euro. E' bene ricordare che a 20 km di distanza dal polo siderurgico non si può pascolare perché il terreno è contaminato dalla diossina. Poche settimane fa sono stati abbattuti dei bovini contaminati dalla diossina. Il latte materno delle donne, soprattutto delle donne del quartiere Tamburi, è contaminato dalla diossina. E' una situazione drammatica: rispetto alla media pugliese, a Taranto muore di tumore il 21% in più dei bambini. Questi dati sono peggio di un bollettino di guerra. Bisogna quindi avviare le bonifiche ma avere contestualmente un importante progetto di conversione. Nel libro indico qual è la strada: innanzitutto istituendo una no tax area che possa invogliare tante imprese estere ed italiane ad investire in quell'area, specialmente nel settore dell'innovazione tecnologica, del sapere e del commercio ma anche in tanti altri settori e attraverso la rigenerazione urbana. In sintesi si tratta di ricostruire un'altra città se pensiamo che solo la superficie del siderurgico è più grande della superficie della città. Il siderurgico occupa oltre 15mila ettari, una superficie immensa. Lei crede che la ricoversione possa garantire il posto di lavoro ai circa 16mila dipendenti del polo industriale? Innanzitutto non sono 16mila dipendenti: sono 11800 e in più 2500-3000 di indotto. E' bene chiarire perché sono arrivati anche a dire qualche tempo fa che ce n'erano 50mila. Al di là di questo dobbiamo guardare ai dati macroeconomici della città di Taranto: sono i più drammatici di tutta Italia. Questo sta ad indicare che l'Ilva di Taranto non ha dato alcuna risposta ad un problema grave come la disoccupazione che raggiunge quasi il 50% in città. E' un fatto incredibile che fa pensare quanto sia necessario un processo di rilancio economico che utilizzi le varie infrastrutture come il porto che può diventare un porto turistico. Taranto era la capitale della Magna Grecia, bisogna rilanciarla. Ad un certo punto a Taranto sembrava che si dovesse scegliere tra il diritto al lavoro e il diritto alla salute. Come si può superare questa dicotomia a Taranto? Come Verdi siamo sempre stati accusati di essere quelli che denunciano. La nostra denuncia è sacrosanta, noi ci siamo costituiti parte civile nel processo. Lo sforzo che noi abbiamo fatto è stato quello di indicare una strada: siamo andati a studiare quello che è accaduto a Bilbao, io personalmente sono andato a parlare con l'amministrazione di Bilbao e ho parlato, attraverso un fitto scambio di email, anche con l'amministrazione di Pittsburgh negli Stati Uniti. Pittsburgh produceva 35 anni fa il 50% dell'acciaio di tutti gli Stati Uniti d'America e anche lì hanno deciso questa radicale conversione. Oggi Pittsburgh è la città del sapere, delle biotecnologie, delle università. Io penso che anche a Taranto si possa fare una cosa analoga garantendo ovviamente il diritto alla salute ma anche rilanciando. Oggi a Taranto chi dice che il diritto al lavoro è garantito dice una grande menzogna perché di fronte al 47% di disoccupazione sfido chiunque a dire che il diritto al lavoro è garantito. E' stato garantito il diritto ad inquinare e, come dicono i dati della Procura, il diritto ad uccidere i figli degli operai e gli operai stessi. Le corsie degli ospedali di Taranto non sono più in grado di curare le persone che si ammalano, vanno in un pellegrinaggio triste e doloroso fuori dalla propria città a farsi curare e a volte purtroppo anche a morire. Lo scandalo dell'Ilva non sarebbe stato possibile se non ci fossero state complicità a tutti i livelli, dal sindacato alla politica. Nel libro lei non risparmia critiche all'amministrazione regionale. Dal punto di vista politico quali errori ha commesso il presidente Vendola? Io credo che da parte del presidente Vendola non ci sia stato coraggio di applicare le leggi che lui stesso aveva voluto. Le leggi sulla diossina e le leggi sul benzopirene sono state di fatto disapplicate. Non c'è stato mai un monitoraggio in continuo. Non si è voluta fare un'indagine epidemiologica, cosa che ha fatto la Procura. La procura della Repubblica di Taranto ha fatto ciò che dovevano fare le istituzioni a partire da quella regionale. L'errore è stata l'assenza di una proposta che consentisse a Taranto di uscire fuori dalla monocultura dell'acciaio, di passare in sintesi da una economia della diossina a un'economia della vita. Un presidente di Regione deve ambire ad avere quest'obiettivo. Il caso di Taranto è il più clamoroso degli ultimi anni ma non è certo l'unico di questo tipo. Nel libro lei cita altri esempi simili come Priolo e Gela. Cosa si può fare per evitare che simili situazione possano ripetersi? L'Italia è un Paese che ha il più alto livello di procedura di infrazione dal punto di vista ambientale perché mancano i controllano ambientali. La vicenda di Taranto indica che politiche corruttive e concussive sono alla base dei disastri ambientali perché quando non si fanno i controlli ambientali si consente a questi grossi gruppi industriali di poter inquinare fino a realizzare il massimo profitto. Nessuno è contro il profitto ma questo deve avvenire nel rispetto delle leggi ambientali del nostro Paese. Purtroppo noi vediamo invece, dalla Caffaro al petrolchimico di Priolo, a Gela, alla Valle del Sacco fino alla Terra dei Fuochi all'assenza dei controlli ambientali. Quando non c'è il controllo ambientale non c'è il sanzionamento e accade quello che accade da decenni in Italia. Il gruppo Riva è andato a costruire le acciaierie anche in Germania ma lì gli hanno imposto le regole di quel Paese e le hanno rispettate perché ci sono i controlli. E' questa la grande amarezza che fa sorgere una forte arrabbiatura perché l'assenza dei controlli ambientali ha provocato inquinamento e morte, ci sono bambini che muoiono, donne disperate, famiglie distrutte dall'inquinamento in quella città.

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