domenica 19 luglio 2015

L' Unione Europea vuole veleni nei piatti

StopTTIP è un alleanza su scala europea che si è formata per realizzare un Iniziativa dei
Cittadini Europei (ECI) sul TTIP e sul CETA. Abbiamo presentato domanda di registrazione per la
nostra ECI il 15 luglio 2014. L'11 settembre 2014 la Commissione Europea ha respinto la
registrazione sulla base di argomenti che non crediamo essere conformi alle norme dell'Unione
Europea. Ecco perchè abbiamo messo in discussione la decisione della Commissione davanti alla Corte di Giustizia Europea e nel frattempo abbiamo svolto la nostra ECI su base auto-organizzata. 
Per maggiori informazioni vedere https://stop-ttip.org/about-the-eci-campaign/.

Perchè?
 semplicissimo, perchè  le aziende alimentari che usano veleni nei cibi aumentano i guadagni, si muore di cibo? ma chi se ne frega l' importante  è guadagnare....
poi, non è finita, per far stare tranquille persone come Renzi.... queste organizzazioni dei veleni stanziano fondi per le rotonde sulle strade, piste ciclabili, stazioni ferroviarie, aereoporti per fare decollare voli  a basso costo ed incrementare il turismo  cosi i turisti arrivano negli hotel mangiano i loro cibi  ai  veleni e muoiono insieme a questa follia multinazionalizzata che è l'Unione euroea e le sue aziende dei veleni.

Volete la prova: provate ad andare in un hotel in Sicilia, guardate le  pallide albicocche, le pesche, pensate di mangiare pesce siciliano?
Osservate bene il pane, l' olio di oliva è nelle bottiglie con scritto... bla bla... ma Voi consumatori non sapete da dove arriva quell' olio cosi mangiate veleno, negli hotel, nei ristoranti, negli autogrill, nelle mense soclastiche, ovunque. 
Loro si arricchiscono vendendo veleni,  noi?
Aumento della disoccupazione ...



LETTERA inviata al Parlameno Europeo



05.07.2015
Berlin, 04.07.2015
Caro Membro del Parlamento Europeo,
Le stiamo scrivendo in merito
all'imminente voto al Parlamento Europeo sulla relazione d'iniziativa
riguardante il Trattato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti (TTIP).

GLI ITALIANI VOGLIONO LE ETICHETTE SUI PRODOTTI ...

Sono stati presentati a Expo Milano 2015, al Padiglione Coldiretti, i dati del V Rapporto Gli italiani e l’agricoltura, con un focus su Commercio globale e agricoltura multifunzionale, durante il convegno sul tema L’agricoltura che sconfigge la crisi. La sfida della multifunzionalità

L' UE vuole avvelenarci

Fermiamo il Ttip!

Pochi giorni prima che il Parlamento europeo voti la relazione di iniziativa sul Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), 483 organizzazioni della società civile di tutta Europa, compresa l’Alleanza Stop-TTIP, chiedono in una lettera aperta indirizzata ai membri del Parlamento europeo di votare contro il TTIP. Lunedì 6 luglio tutti i membri del Parlamento hanno ricevuto la lettera riportata di seguito, firmata dall’Alleanza Stop-TTIP in ogni Paese membro dell’UE.
Il Parlamento europeo avrebbe dovuto votare in materia di TTIP il 10 giugno, ma il dibattito e il voto sono stati rimandati dopo la presentazione di oltre 200 emendamenti all’accordo. Il Parlamento europeo, pertanto, voterà la risoluzione sul TTIP il prossimo mercoledì 8 luglio.
L’Alleanza Stop-TTIP esprime le opinioni della società civile: oggi, 2,3 milioni di cittadini europei richiedono che siano bloccati i negoziati sul TTIP. Secondo Slow Food, l’unica soluzione è un rifiuto completo del TTIP.
Slow Food chiede al Parlamento europeo di rifiutare il TTIP e di non scendere a compromessi su alcun emendamento. Come ha affermato Carlo Petrini, Presidente di Slow Food:
Se il TTIP viene approvato, il nostro sistema alimentare quotidiano, già soggetto a un cambiamento drastico e insidioso, diventerà sempre più slegato dalla dimensione umana. Gli accordi di libero scambio, a partire dal NAFTA, non hanno portato ad alcun miglioramento della qualità della vita dei piccoli produttori e di chi è economicamente svantaggiato, ma hanno solo moltiplicato i guadagni degli speculatori più ricchi.
Ursula Hudson, Presidente di Slow Food Germania, spiega:
Il TTIP, così come è attualmente strutturato, non è assolutamente accettabile. Abbiamo bisogno di altre cose, non del TTIP: vogliamo democrazia, trasparenza e protezione legale per gli individui, e non più diritti per le multinazionali che vogliano citare una controparte in giudizio. Vogliamo proteggere e sviluppare ulteriormente le politiche ambientali europee, gli standard che abbiamo già raggiunto, invece di subordinarli alla logica del libero scambio.
Richard McCarthy, Direttore esecutivo di Slow Food USA, dichiara:
Siamo profondamente preoccupati da questa corsa verso la deregolamentazione, che riduce il controllo e la trasparenza del nostro sistema alimentare. Genererebbe una grande incongruenza, oggi che le comunità negli Stati Uniti e in tutta Europa cercano di riacquisire un maggiore controllo sulle informazioni indicate nelle etichette dei prodotti alimentari, sull’origine degli alimenti che consumiamo e sul modo in cui sono prodotti. Il TTIP minerebbe questi sforzi.
La risoluzione sul TTIP prevede anche l’inclusione della clausola relativa all’Investor-state dispute settlement (ISDS). Il Parlamento europeo deve assumere una chiara posizione contro l’ISDS. La clausola, infatti, consente alle aziende di citare in giudizio i governi presso tribunali privati in caso di azioni statali che, a loro giudizio, interferiscono con i loro investimenti e riducono i profitti previsti. Questa pratica è un pericolo per lo stato di diritto e i principi democratici.

fonte sito www.slowfood.it


Pecore, addio!

PecoraUna notizia apparsa su Internazionale letta di corsa con scarsa attenzione, parlava di una riduzione del patrimonio ovino della Nuova Zelanda da 70 milioni di capi (11 per abitante) agli attuali 30 milioni (6 per abitante). La Nuova Zelanda domina il mercato mondiale degli agnelli ed è tra i maggiori esportatori di lana e di latticini: e allora cosa mai è successo in quel paese per spiegare un tale crollo del gregge ovino nazionale?
Allora quella piccola notizia a margine di un reportage più ampio suscita qualche dubbio: se colleghiamo questo crollo a segnali che arrivano dall’Europa e dall’Italia in particolare, quegli interrogativi si trasformano in un vago senso di inquietudine, e più si approfondisce l’argomento, più l’inquietudine diventa preoccupazione.
L’Italia conta 7.300.000 capi, molti ma non moltissimi rispetto ai 35.000.000 dell’Inghilterra o ai quasi 12 della Spagna. Il 50 per cento di questi esemplari si trova in Sardegna. E si scopre che anche da noi la riduzione è netta: in Sardegna, ad esempio, rispetto a dieci anni or sono si sono persi un milione di capi. E in tutta Europa si registra un arretramento. Una delle cause è rappresentata certamente dalla cosiddetta “lingua blu”, una virosi che colpisce in particolare i ruminanti di piccola taglia e che ha comportato molti abbattimenti. Ma non può essere solo la malattia a ridurre in modo così drastico il gregge nazionale. E non possono essere neppure i tanto temuti e colpevolizzati lupi, del tutto assenti in Sardegna.
E allora quell’inquietudine vaga ed emotiva deve tradursi in un ragionamento. E il ragionamento ci porta ad alcune possibili cause del fenomeno, che alla fin fine riconducono alla impossibilità di un reddito adeguato per gli allevatori e i pastori. La lana, se non è di razze particolarmente pregiate, non la vuole più nessuno, è considerata un rifiuto speciale, e dunque un costo per lo smaltimento. Il latte ovino, per quelli che ancora mungono pecore (e sono sempre meno) è ceduto alla stalla a un prezzo medio inferiore all’euro: pensate un attimo al tempo che occorre per mungere 100, 200 pecore raccogliendo meno di un litro di latte a capo e alla fatica, e vi renderete conto che un euro, anzi meno di un euro al litro, è vergognosamente basso. E comunque va detto – ed è la terza ragione delle difficoltà del comparto – che i consumi di pecorini stagionati sono in costante calo. Le giovani generazioni non amano quei sentori forti, un poco piccanti e l’odore animale che sempre si sprigiona da un cacio pecorino stagionato. E l’unico modo per garantire un buon prezzo del latte alla stalla sarebbe appunto quello di produrre formaggi affinati e non formaggi freschi che vanno a posizionarsi su di un mercato dominato dall’industria casearia. Certo, qualche nicchia resiste, i nostri Presidi reggono ancora, ma le grandi produzioni delle cooperative sarde ad esempio, sono in difficoltà grave. I giovani mangiano formaggi dolci, tendenzialmente insapori, morbidi e grassi.
Pecorini addio, dunque? E di conseguenza pecore addio? Non siamo ancora a quel punto, ma è certo che dobbiamo cominciare a riflettere seriamente tutti sul problema, istituzioni, produttori e consumatori, e valutare opportune contromisure: altrimenti il rischio di vedere piano piano estinguersi il pastoralismo e l’allevamento ovino è reale e neppure così lontano nel tempo.

Piero Sardo
Presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus
12% :

questo il dato rilevato da Coldiretti, si riferisce alla percentuale di giovani che già lavorano e chiedono di essere impiegati in agricoltura, un dato straordinario molto al di sopra della media degli ultimi quarant' anni, un dato importantissimo.
 Se i giovani riusciranno, anche grazie a noi docenti, a comprendere che i veleni nel  piatto si sconfiggono solo con la zappa, avremo un futuro, la società potrà salvarsi dalle malattie, peccato che gli ospedali si svuoteranno, bel problema!
Del reesto le iscrizioni ai corsi professionali  ad indirizzo agroalimentare confermano da tempo questo straordinario risultato.
I giovani del Sud italia dormono,  ancora presi ad imitare il Nord..... i giovani non si occupano di agricoltura perchè addormentati   in sogni  ingenui e fessacchiotti, cosi il loro territorio già martoriato morirà giorno per giorno.
Bravi idioti.
Un grazie di cuore alla persona che ha ideato la traccia dell' Esame scritto di Scienze Umaner di quest' anno sul valore del  lavoro manuale, un genio, a lui andrebbe il nobel 2016.

Sono stati presentati a Expo Milano 2015, al Padiglione Coldiretti, i dati del V Rapporto Gli italiani e l’agricoltura, con un focus su Commercio globale e agricoltura multifunzionale, durante il convegno sul tema L’agricoltura che sconfigge la crisi. La sfida della multifunzionalità dal 18 maggio 2001, organizzato dalla Fondazione UniVerde e da Coldiretti. All’incontro sono interventi Roberto Moncalvo, Presidente Nazionale Coldiretti, e Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente Fondazione UniVerde.
A illustrare il rapporto è stato Antonio Noto, Direttore IPR Marketing, evidenziando come, secondo gli italiani, ci sia poca attenzione per l’agricoltura nel nostro Paese e che la condizione dei coltivatori negli ultimi anni sia peggiorata, soprattutto a livello economico. La percezione è che gli addetti al settore guadagnino molto poco per l’attività da loro svolta. L’85% del campione di riferimento ritiene che gli agricoltori svolgono un ruolo importante nella protezione dell’ambiente, perché oltre a mantenere in vita tradizioni che altrimenti si estinguerebbero, proteggono il territorio contro il dissesto idrogeologico.
Per l’86% dovrebbero ricevere un incentivo economico per la loro attività a servizio dell’intera collettività. Il panel, costituito da mille cittadini, disaggregati per sesso, età, area di residenza, ha mostrato di conoscere e gradire l’agricoltura multifunzionale. Tra le attività realizzate dalle imprese agricole multifunzionali le più apprezzate sono: l’agriturismo, i farmer’s market, le fattorie didattiche, gli agri-ospizi per anziani e gli agri-asili, ai quali l’82% degli italiani iscriverebbe il proprio figlio.
Riguardo ai prodotti agricoli:
  • il 43% degli italiani dichiara che, quando possibile, preferisce acquistarli direttamente in fattoria e, rispetto a quelli provenienti da altri Paesi, ne apprezza il gusto e il sapore
  • il 60% non ha dubbi nel ritenere quelli freschi molto più sicuri rispetto a quelli trasformati o industriali
  • l’84% si fiderebbe di più della qualità acquistandoli direttamente dal produttore o coltivatore
  • il 69% in un negozio tradizionale
  • il 64% al mercato rionale
  • il 90% apprezza che nel menù siano indicati prodotti di stagione e a km 0, confermando la tendenza a fare attenzione alle freschezza e alla stagionalità dei prodotti anche nella scelta del ristorante.
Sull’uso degli ogm in agricoltura gli italiani non hanno dubbi: il 73% si dichiara contrario. Il 90% vorrebbe delle etichette che indicassero chiaramente prodotti ogm free, in modo da poter scegliere consapevolmente. Anche per i cosmetici il 44% gradisce di più quelli naturali provenienti da agricoltura biologica. “L’agricoltura multifunzionale”  dichiara Alfonso Pecoraro Scanio “che è sempre più sociale e ambientale, dà molto all’Italia e merita di ricevere di più. I risultati del V Rapporto mostrano come gli italiani amino la nuova agricoltura, cresciuta molto in questi anni, che dà sempre più lavoro anche ai giovani, e chiedono alle istituzioni una maggiore considerazione per questo settore. La manutenzione del territorio, l’investimento sul biologico e sulla filiera libera da ogm fanno dell’agricoltura italiana una best practice a livello europeo. Expo non può ridursi a una Gardaland del cibo, ma deve essere l’occasione per rendere noti i risultati raggiunti in questi anni e indicare anche all’Europa una nuova visione”.
“Guardando ai bisogni dei consumatori, abbiamo costruito in questi anni un modello di sviluppo agricolo vincente replicabile in ogni parte del pianeta, che l’Italia deve sapere offrire all’Expo” ha affermato il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo, nel sottolineare che “i più pronti ad accorgersene sono stati i tanti giovani, che vedono nell’agricoltura italiana e nell’alimentazione Made in Italy un’importante traiettoria di crescita in Italia e una prospettiva di lavoro futuro nel cibo”.
Quasi 1 studente su 4, con ben il 24% degli iscritti al primo anno delle scuole secondarie superiori tecniche e professionali ha scelto, per l’anno scolastico 2014/2015, un indirizzo legato all’agricoltura, all’enogastronomia e al turismo. Nel rapporto è stato realizzato anche un focus su Commercio globale e agricoltura multifunzionale. Sono ancora in pochi (il 14%), ad essere a conoscenza del TIPP (Accordo di libero scambio tra Unione Europea e Stati Uniti). Quando al panel viene spiegato di cosa si tratta:
  • il 98% dichiara che non consumerebbe mai pollo trattato con bagni di antimicrobici a base di ipoclorito di sodio (varechina) o carne trattata con ormoni
  • il 94% non mangerebbe l’imitazione del Parmigiano Reggiano prodotto negli Stati Uniti
  • il 91% eviterebbe carne o latte provenienti da animali clonati.