domenica 19 luglio 2015

L' UE vuole avvelenarci

Fermiamo il Ttip!

Pochi giorni prima che il Parlamento europeo voti la relazione di iniziativa sul Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), 483 organizzazioni della società civile di tutta Europa, compresa l’Alleanza Stop-TTIP, chiedono in una lettera aperta indirizzata ai membri del Parlamento europeo di votare contro il TTIP. Lunedì 6 luglio tutti i membri del Parlamento hanno ricevuto la lettera riportata di seguito, firmata dall’Alleanza Stop-TTIP in ogni Paese membro dell’UE.
Il Parlamento europeo avrebbe dovuto votare in materia di TTIP il 10 giugno, ma il dibattito e il voto sono stati rimandati dopo la presentazione di oltre 200 emendamenti all’accordo. Il Parlamento europeo, pertanto, voterà la risoluzione sul TTIP il prossimo mercoledì 8 luglio.
L’Alleanza Stop-TTIP esprime le opinioni della società civile: oggi, 2,3 milioni di cittadini europei richiedono che siano bloccati i negoziati sul TTIP. Secondo Slow Food, l’unica soluzione è un rifiuto completo del TTIP.
Slow Food chiede al Parlamento europeo di rifiutare il TTIP e di non scendere a compromessi su alcun emendamento. Come ha affermato Carlo Petrini, Presidente di Slow Food:
Se il TTIP viene approvato, il nostro sistema alimentare quotidiano, già soggetto a un cambiamento drastico e insidioso, diventerà sempre più slegato dalla dimensione umana. Gli accordi di libero scambio, a partire dal NAFTA, non hanno portato ad alcun miglioramento della qualità della vita dei piccoli produttori e di chi è economicamente svantaggiato, ma hanno solo moltiplicato i guadagni degli speculatori più ricchi.
Ursula Hudson, Presidente di Slow Food Germania, spiega:
Il TTIP, così come è attualmente strutturato, non è assolutamente accettabile. Abbiamo bisogno di altre cose, non del TTIP: vogliamo democrazia, trasparenza e protezione legale per gli individui, e non più diritti per le multinazionali che vogliano citare una controparte in giudizio. Vogliamo proteggere e sviluppare ulteriormente le politiche ambientali europee, gli standard che abbiamo già raggiunto, invece di subordinarli alla logica del libero scambio.
Richard McCarthy, Direttore esecutivo di Slow Food USA, dichiara:
Siamo profondamente preoccupati da questa corsa verso la deregolamentazione, che riduce il controllo e la trasparenza del nostro sistema alimentare. Genererebbe una grande incongruenza, oggi che le comunità negli Stati Uniti e in tutta Europa cercano di riacquisire un maggiore controllo sulle informazioni indicate nelle etichette dei prodotti alimentari, sull’origine degli alimenti che consumiamo e sul modo in cui sono prodotti. Il TTIP minerebbe questi sforzi.
La risoluzione sul TTIP prevede anche l’inclusione della clausola relativa all’Investor-state dispute settlement (ISDS). Il Parlamento europeo deve assumere una chiara posizione contro l’ISDS. La clausola, infatti, consente alle aziende di citare in giudizio i governi presso tribunali privati in caso di azioni statali che, a loro giudizio, interferiscono con i loro investimenti e riducono i profitti previsti. Questa pratica è un pericolo per lo stato di diritto e i principi democratici.

fonte sito www.slowfood.it


Pecore, addio!

PecoraUna notizia apparsa su Internazionale letta di corsa con scarsa attenzione, parlava di una riduzione del patrimonio ovino della Nuova Zelanda da 70 milioni di capi (11 per abitante) agli attuali 30 milioni (6 per abitante). La Nuova Zelanda domina il mercato mondiale degli agnelli ed è tra i maggiori esportatori di lana e di latticini: e allora cosa mai è successo in quel paese per spiegare un tale crollo del gregge ovino nazionale?
Allora quella piccola notizia a margine di un reportage più ampio suscita qualche dubbio: se colleghiamo questo crollo a segnali che arrivano dall’Europa e dall’Italia in particolare, quegli interrogativi si trasformano in un vago senso di inquietudine, e più si approfondisce l’argomento, più l’inquietudine diventa preoccupazione.
L’Italia conta 7.300.000 capi, molti ma non moltissimi rispetto ai 35.000.000 dell’Inghilterra o ai quasi 12 della Spagna. Il 50 per cento di questi esemplari si trova in Sardegna. E si scopre che anche da noi la riduzione è netta: in Sardegna, ad esempio, rispetto a dieci anni or sono si sono persi un milione di capi. E in tutta Europa si registra un arretramento. Una delle cause è rappresentata certamente dalla cosiddetta “lingua blu”, una virosi che colpisce in particolare i ruminanti di piccola taglia e che ha comportato molti abbattimenti. Ma non può essere solo la malattia a ridurre in modo così drastico il gregge nazionale. E non possono essere neppure i tanto temuti e colpevolizzati lupi, del tutto assenti in Sardegna.
E allora quell’inquietudine vaga ed emotiva deve tradursi in un ragionamento. E il ragionamento ci porta ad alcune possibili cause del fenomeno, che alla fin fine riconducono alla impossibilità di un reddito adeguato per gli allevatori e i pastori. La lana, se non è di razze particolarmente pregiate, non la vuole più nessuno, è considerata un rifiuto speciale, e dunque un costo per lo smaltimento. Il latte ovino, per quelli che ancora mungono pecore (e sono sempre meno) è ceduto alla stalla a un prezzo medio inferiore all’euro: pensate un attimo al tempo che occorre per mungere 100, 200 pecore raccogliendo meno di un litro di latte a capo e alla fatica, e vi renderete conto che un euro, anzi meno di un euro al litro, è vergognosamente basso. E comunque va detto – ed è la terza ragione delle difficoltà del comparto – che i consumi di pecorini stagionati sono in costante calo. Le giovani generazioni non amano quei sentori forti, un poco piccanti e l’odore animale che sempre si sprigiona da un cacio pecorino stagionato. E l’unico modo per garantire un buon prezzo del latte alla stalla sarebbe appunto quello di produrre formaggi affinati e non formaggi freschi che vanno a posizionarsi su di un mercato dominato dall’industria casearia. Certo, qualche nicchia resiste, i nostri Presidi reggono ancora, ma le grandi produzioni delle cooperative sarde ad esempio, sono in difficoltà grave. I giovani mangiano formaggi dolci, tendenzialmente insapori, morbidi e grassi.
Pecorini addio, dunque? E di conseguenza pecore addio? Non siamo ancora a quel punto, ma è certo che dobbiamo cominciare a riflettere seriamente tutti sul problema, istituzioni, produttori e consumatori, e valutare opportune contromisure: altrimenti il rischio di vedere piano piano estinguersi il pastoralismo e l’allevamento ovino è reale e neppure così lontano nel tempo.

Piero Sardo
Presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus

Nessun commento:

Posta un commento