mercoledì 1 giugno 2016

VINO AL CEMENTO...

Tra la terra e il cemento: le vigne della Malvasia di Sitges soffocate da un’urbanizzazione spietata 24/05/2016 Nessun commento Scritto da Fondazione Slow Food per la Biodiversità 4 unnamedLa Malvasia di Sitges deve la vita a un testamento. Negli anni Trenta del secolo scorso Manuel Llopis de Casades, ultimo erede di una delle casate più antiche della città catalana, destinò i propri lasciti all’Hospital de San Joan Bautista di Sitges. Pegno di questa copiosa donazione fu la condizione che la produzione e vinificazione della Malvasia autoctona fosse mantenuta. Il vigneto del testamento si trova nella zona di Aiguadolç, un terreno di due ettari vista mare ed edilizia. Nel centro urbano, invece, è presente un secondo vigneto, più piccolo e singolare, in quanto circondato da edifici. Se la Malvasia di Sitges è arrivata fino ai nostri giorni è dunque grazie alla lungimiranza – e anche al buon gusto – di Llopis. Circa dieci anni fa Slow Food istituì un Presidio intorno a questa varietà e da allora la produzione si è estesa in diverse zone del Penedés, favorendone la conservazione (se vuoi saperne di più su questo vino, e sul Presidio Slow Food, clicca qui). Diverse cantine l’hanno ormai incorporata nelle proprie liste di varietà disponibili sul territorio e alcune di esse utilizzano le uve di Malvasia per farne dei vini mono varietali molto interessanti: un esempio è quello proposto dalla cantina Vega de Ribes, della famiglia Bartra, entrata a far parte del presidio fin dalla sua nascita, nonché importante propulsore dell’evoluzione di questa varietà locale. IMG_9032-300x225All’interno della città di Sitges l’unica produzione esistente è quella dell’Hospital de San Joan Bautista, che oltre ad ospitare questo vigneto antico funge anche da residenza geriatrica. Al fine di creare una produzione vinicola efficace e redditizia delle uve nascoste tra le mura, l’Hospital si è appoggiato a un agricoltore proprietario di alcuni terreni nella zona di Sant Pere de Ribes per elaborare le proprie uve. Grazie a questa collaborazione nel corso degli anni l’Hospital ha potuto concentrarsi su un progetto di rimodernizzazione, che ha portato all’aumento della propria gamma di vini e ha reso la propria attività più redditizia. Questo progetto collaborativo ha permesso alla Malvasia di passare da una fonte di perdita per l’Hospital a una risorsa con forte potenziale enogastronomico ed economico, immettendo sul mercato il proprio vino, dolce e da tavola. Nel 2016, senza evidenti ragioni, questa collaborazione non è stata rinnovata, riportando la Malvasia dell’Hospital al ruolo di vigna inutilizzata. La domanda che sorge spontanea è: perché? La ragione è da trovarsi proprio intorno al vigneto dell’Hospital, dove l’urbanizzazione la fa da padrona. Tra la terra e il cielo si staglia il cemento, che con il suo grigiore incombe sul paesaggio, minacciando di espandersi fin sopra le radici ben piantate tra le mura dell’Hospital. La vicinanza al mare e la presenza del massiccio del Garraf a proteggere dai venti del nord fanno di Sitges un luogo ideale per coltivare la Malvasia, ma l’ubicazione di questo terreno risulta molto appetibile anche per gli amanti del cemento e della speculazione edilizia. «A volte pare che la Malvasia di Sitges sia più valorizzata all’esterno che all’interno della propria città; di fatto, diversi trasformatori del Penedés hanno investito molto nel futuro di questa varietà e delle sue caratteristiche particolari, che conferiscono una personalità unica al vino», dichiara Valentí Mongay, responsabile della condotta Slow Food Garraf i Penedés. «È inoltre paradossale che ristoranti di prestigio e stellati valorizzino i vini di Malvasia di Sitges, includendoli nelle proprie carte, mentre molti bar e ristoranti della città li ignorino completamente. Persino la guida Parker le ha conferito un punteggio di 91 su 100. Per questa ragione la Settimana della Malvasia di Sitges ha come secondo obiettivo quello di ottenere che sempre più esercizi locali incorporino questa varietà e i suoi vini nella propria offerta». image1-154x300Ogni anno dal 23 al 29 di maggio il Gremio de Hosteleria de Sitges, in collaborazione con l’Hospital de Sant Joan, organizza la “Settimana della Malvasia”, una serie di incontri tecnici rivolti a chi nel mondo coltiva una varietà di questo vitigno. Ormai alla sua quarta edizione, la settimana propone anche una serie di degustazioni di piatti che ben si sposano con questo vino. Quest’anno sarà anche l’occasione per denunciare un potenziale problema che, se lasciato inosservato, rischia di diventare una triste realtà. Se vuole continuare a essere considerata una città interessante dal punto di vista turistico e culturale, Sitges deve tutelare e valorizzare la Malvasia, uno dei pochi patrimoni gastronomici che le rimangono.

MINISTRI DEGLI OGM???? SI ACCADE IN BRASILE

Brasile: il “re della soia” diventa ministro 26/05/2016 Il Brasile è il secondo produttore al mondo di Ogm, e nel 2014 le colture di soia transgenica si estendevano su un totale di 29,1 milioni di ettari. D’altra parte, il Brasile è anche il Paese che, a livello mondiale, ha il più grande patrimonio di biodiversità… Dal 12 maggio il Brasile ha un nuovo Ministro dell’agricoltura ad interim, Blairo Borges Maggi, classe 1956, agronomo di formazione e già senatore del Mato Grosso. Proseguendo il proprio percorso il Ministero dell’agricoltura, della zootecnia e dell’alimentazione (Ministério da Agricultura, Pecuária e Abastecimento, Mapa) brasiliano ha scelto un personaggio estremamente coinvolto nell’agricoltura e nell’economia del proprio paese: Maggi è conosciuto anche con il soprannome di “o rei da soja”, il re della soia, in quanto la sua azienda – Grupo Amaggi – è la maggiore produttrice di soia a livello nazionale.soy-field-Brazil Parlare di soia, in Brasile, ma non solo, equivale a parlare di coltivazioni Gm. Secondo i dati raccolti dall’International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications (Isaaa), infatti, nel 2014 sul suolo nazionale erano coltivati a soia transgenica 29,1 milioni di ettari, una fetta consistente dei 42,2 milioni di ettari coltivati con Ogm che collocano il Brasile al secondo posto fra i produttori mondiali, subito dopo gli Stati Uniti. Per i più curiosi, diciamo che alla soia seguono il mais con 12,5 milioni di ettari, e il cotone con 0,6 milioni di ettari: in Brasile l’89,2% delle colture di soia, mais e cotone è appunto transgenico. Stiamo parlando di colture realizzate su enormi estensioni di terreno, destinate in larga parte alla produzione di mangimi o di agrocarburanti e non all’alimentazione umana. Parallelamente alle monocolture, ai campi sterminati e all’importanza crescente rivestita dalle colture transgeniche, il Brasile è anche il paese del mondo che vanta la maggiore biodiversità, con oltre 3000 specie di piante commestibili, un numero incalcolabile di funghi e molte specie animali, a fronte delle poche razze autoctone ufficialmente riconosciute. Per citare un esempio, l’Arca del Gusto di Slow Food, che recensisce le varietà vegetali, le razze animali e i prodotti artigianali a rischio di estinzione in Brasile annovera un’ottantina di prodotti (altri 120 sono attualmente in fase di valutazione): dall’abacaxi pequeno, una varietà di ananas appartenente alla famiglia delle Bromeliacee che ha dimensioni più piccole e sapore leggermente più acido rispetto all’ananas comune, al waranà nativo dei Sateré Mawé, un frutto dai semi ricchi di guaranina, sostanza utile a combattere la fatica e a stimolare le funzioni cognitive e la memoria. Questi prodotti, come innumerevoli altri salvaguardati e promossi dall’agricoltura familiare garantiscono la sovranità alimentare delle comunità locali. Nel solo Brasile, l’agricoltura familiare produce il 70% degli alimenti che giornalmente arrivano sulle tavole di quasi 200 milioni di persone. Tale produzione di alimenti sani e di qualità viene da 4,3 milioni di aziende agricole a gestione familiare e, benché occupi solo il 24% della superficie totale delle aziende agricole e di allevamento, produce il 37% della produzione agricola e zootecnica brasiliana, dando lavoro a 13,8 milioni di persone, ossia il 77% della popolazione occupata in agricoltura.ContadinoBrasiliano Questo successo è anche dovuto alle politiche attuate da un governo che, nell’ultimo decennio, ha considerato l’agricoltura familiare una strategia di sicurezza alimentare, di riduzione della povertà e delle diseguaglianze, di inclusione e mobilità sociale e di promozione dello sviluppo territoriale nelle zone rurali. Una considerazione sorretta da politiche lungimiranti e che ha fatto sì che l’esperienza brasiliana diventasse uno riferimento per altri governi latinoamericani e organismi di cooperazione nazionale. Nelle ultime settimane, tuttavia, in Brasile sono avvenuti numerosi cambiamenti politici, tra cui l’estinzione del Ministero per lo sviluppo agrario (Ministério do Desenvolvimento Agrário, Mda) creato nel 1999 con l’obiettivo di promuovere la riforma agraria, la regolarizzazione fondiaria, lo sviluppo territoriale e l’agricoltura familiare, ora assorbito nel nuovo Ministero dello sviluppo sociale e agrario (Ministério do Desenvolvimento Social e Agrário, Mdsa), presieduto da Osmar Terra. Questi cambiamenti ci inducono a riflettere e interrogarci su come dialogheranno questi due sistemi agricoli, economici e politici. «Resta da vedere ora la direzione che assumerà il governo ad interim brasiliano, e come porterà avanti i risultati di un decennio di politiche che hanno condotto il Brasile fuori dalla mappa mondiale della fame e della povertà, riconoscendo all’agricoltura familiare un ruolo di protagonismo nello sviluppo territoriale e nella valorizzazione della cultura alimentare», afferma Valentina Bianco, referente di Slow Food per il Sud America. Conclude Georges Schnyder, presidente di Slow Food Brasile: «Un governo ad interim può cancellare politiche pubbliche, programmi e azioni a favore dell’agricoltura familiare, che da oltre un decennio caratterizzano il paese, facendone un modello a livello internazionale?». di Silvia Ceriani s.ceriani@slowfood.it

NO ALLA MULTINAZIONALE NESTLE' FUORI DALLE BALLE

Fuori la Nestlé da Cascade Locks 27/05/2016 cascade_locksC’è qualcosa di nuovo sul fronte della liberalizzazione dell’acqua: un paesino dell’Oregon, Cascade Locks, ha cacciato la Nestlé dalle proprie acque, impendendo alla multinazionale svizzera di aprire una centrale per l’imbottigliamento sul suo territorio. Il 17 maggio scorso, i 1200 abitanti di questa piccola comunità rurale si sono espressi in un referendum per ufficializzare il loro deciso «no all’imbottigliamento del nostro futuro», come recita uno dei loro slogan. Gli ambientalisti di Local Water Alliance che hanno guidato le proteste possono essere fieri di questo risultato: otto anni di mobilitazioni hanno portato buoni frutti, anche contro un nemico che spesso sembra invincibile. Purtroppo la Nestlé ha sempre ottimi argomenti per convincere i governi locali a vendere qualunque cosa, anche la salute dei cittadini e della terra: in cambio di 450 milioni di litri d’acqua da imbottigliare, la multinazionale avrebbe rimpinguato le casse del comune con 135mila dollari di tasse all’anno. In più la nuova centrale avrebbe contrastato la disoccupazione, impiegando 50 persone «in un paese con una disoccupazione al 18,8%», come ha spesso ricordato il sindaco Gordon Zimmerman. Una proposta appetibile per le tasche del Comune, ma non certo per l’ambiente. A nulla sono valsi i maldestri tentativi del sindaco che ben volentieri avrebbe accettato la proposta della multinazionale svizzera, per fortuna gli ambientalisti e il buon senso dei cittadini hanno avuto la meglio. Se il progetto fosse andato a buon fine, la Nestlé avrebbe imbottigliato il 10% dei consumi totali di Cascade Locks e in un’area a rischio siccità come la contea di Hood River County la minima diminuzione di risorse acquifere disponibili può rivelarsi molto dannosa, anche a distanza di molto tempo. «Se oggi l’acqua è una risorsa critica, ancor di più lo sarà negli anni a venire, quando aumenterà la popolazione e diminuiranno le risorse disponibili», sostengono i difensori dell’acqua pubblica. L’acqua, come il cibo, è un bene comune da difendere e soprattutto da non privatizzare: «venderla significa consegnare il nostro futuro nelle mani di altri». Quello di Cascade Locks è un risultato che ci mette di ottimo umore e ci fa ben sperare: Hood River potrebbe essere la prima di una lunga serie di contee che si ribellano alle multinazionali e al loro tentativo di appropriarsi delle risorse di tutti. Già altri territori stanno seguendo il loro esempio: gli abitanti di Flathead County, in Montana, hanno manifestato contro la possibile apertura di una centrale di imbottigliamento e in California le autorità ambientali hanno proposto di analizzare l’impatto della centrale di imbottigliamento della Nestlé sulle montagne di San Bernardino. Il colosso svizzero ha subito un ulteriore colpo nel Maine dove gli è stata revocata l’autorizzazione ad attingere alla fonte di Fryeburg. Non sono così fortunati gli abitanti di Flint nel Michigan, dove la Nestlé è il maggiore proprietario di falde acquifere e avvelena la popolazione con acqua al piombo. Altra cattiva notizia è che il mercato di bottiglie d’acqua è in crescita: con un giro di denaro di 14,2 miliardi di dollari il 2015 ha registrato un +8,4% rispetto all’anno precedente. Sappiamo bene che la strada è ancora lunga, ma grazie ai cittadini di Cascade Locks un primo traguardo è stato raggiunto e la meta della tutela dei beni comuni diventa più vicina. Francesca Monticone f.monticone@slowfood.it Fonti: La Repubblica

SI può..... combattere le multinazionali dei veleni.. ecco come....

Resistenza contadina: la bella storia del mulino di Stefano 27/05/2016 Arriva da Catanzaro la bella storia di Mulinum, start up calabrese il cui obiettivo è trasformare i grani antichi autoctoni. È iniziato tutto Stefano-Caccavari-a-San-Floro-e1464101847388-525x414qualche mese fa quando Stefano Caccavari, studente di economia a Catanzaro, decide di acquistare l’ultimo mulino di San Severino per dare vita al progetto Mulinum: obiettivo recuperare i grani locali, quelli dimenticati. La trattativa però non va in porto e Stefano decide di lanciare un primo appello su Facebook a febbraio. La sua richiesta viene accolta da centinaia di persone, non solo in Calabria ma anche all’estero: rispondono ragazzi dagli Stati Uniti, dalla Germania, dall’Inghilterra, addirittura dalla Cina. In poco tempo, grazie al tamtam sui social, si raggiunge la cifra necessaria e a inizio maggio, finalmente, la trattativa viene conclusa. Intanto, il mulino di San Severino purtroppo è stato venduto, ma Stefano non si perde d’animo e decide di acquistare e riabilitare le vecchie macine a San Floro, vicino al golfo di Squillace (Cz). Il progetto viaggia da solo: alle macine si aggiungono i forni per preparare quel pane bruno, tipico della zona catanzarese, fatto con segale Iermano, grano rosso Rubeum, Senatore Cappelli, farro. Il tutto alimentato a energia rinnovabile. Questo giovane studente calabrese può contare sul sostegno di agricoltori professionisti, pizzaioli e panificatori celebri nel settore, specialisti dell’Università. La sua idea ha suscitato grande interesse e in tanti sono disposti a dargli una mano. Stefano è conosciuto nella zona per aver impedito l’anno scorso che San Floro diventasse sede di una delle più grandi discariche d’Europa. È inoltre, l’inventore degli Orti di Famiglia: affitta e coltiva terreni, i cui prodotti sono raccolti e consegnati a chi ne fa richiesta. Stesso format quello di Mulinum: sono un centinaio gli associati che hanno deciso di rimboccarsi le maniche e dare nuova speranza all’economia calabrese. A loro disposizione un bonus per acquistare farina e prodotti da forno e sostenere così questa piccola azienda. Per ora i numeri sono bassi, ma in agenda c’è la festa del grano di luglio per la quale si prevede un raccolto di 3.500 quintali di grani antichi, totalmente biologici. Queste sono le storie che ci piace raccontare, quelle fatte di ragazzi, di recupero di territori e di prodotti dimenticati. E speriamo che sia di ispirazione per qualcuno. Voi conoscete storie altrettanto belle? Gabriella Bruzzone g.bruzzone@slowfood.it Fonti Food24.com 24 maggio 2016 Difendiamo il cibo vero insieme - Diventa Socio Slow Food Condividi: AddThis Sharing Buttons Share to FacebookShare to TwitterShare to PinterestShare to Google+Share to LinkedInShare to Più... Back to top Categorie:Agricoltura Ambiente Cereali Pane Sviluppo Rurale comments powered by Disqus Ricerca Cerca nelle news Cerca Categorie Tematiche Prodotti Tag abbiamo fatto 30 Africa agricoltura alimentazione ambiente biodiversità biologico cambiamento climatico Carlo Petrini cibo clima consigli per gli acquisti Fao food gastronomia giornata nazionale contro lo spreco alimentare land grabbing libri mangiare di stagione mercato Monsanto Ogm Pac pesca pesce pesticidi ricette riscaldamento globale ristorazione sabato al mercato salviamo il paesaggio slow sloweekend Slow Food Editore Slow Food Italia sostiene slow food spreco spreco alimentare Terra Madre ttip turismo unione europea verdure di stagione vino vivere slow Iscriviti alla newsletter email privacy Iscriviti Chi siamo Che cos’è Slow Food Che cosa facciamo Perché associarsi Slow Food La nostra storia Bilancio di mandato Congresso Trasparenza Privacy policy Sostienici Promuoviamo il diritto al piacere Salone del Gusto Slow Fish Cheese Master of Food Slow Food Youth Network Difendiamo il cibo vero Terra Madre Fondazione Slow Food per la Biodiversità I Presìdi Slow Food L’Arca del Gusto Mercati della Terra Educhiamo al Futuro Slow Food Educazione 10 000 orti in Africa Diffondiamo la cultura gastronomica Slow Food Editore Slow Wine, il vino buono, pulito e giusto La Banca del Vino Unisg News Area Press e multimedia News Comunicati Stampa Rassegna Stampa Video Foto Le nostre pubblicazioni Guide al consumo Slow Wine Magazine Slow Almanacco Dove siamo Le associazioni locali Slow Food Italia – Contatti Slow Food Italia – C.F. 91008360041 – All rights reserved Powered by Blulab I cookie ci aiutano a fornire i nostri servizi. Utilizzando tali servizi, accetti l'utilizzo dei coo