mercoledì 29 aprile 2015

DELOCALIZZAZIONE



Delocalizzazione articoli


Aziende all’estero e più disoccupati a Brescia e in Italia


6 marzo, 2015
L’Italia non è più una repubblica fondata sul lavoro. La disoccupazione nel bresciano rappresenta una questione rilevante, sulla quale è doveroso fare alcune semplici riflessioni in quanto espressione di un segnale terribile dello stato di pesante disagio sociale ed economico di un territorio un tempo tra i più attivi e trainanti dell’intera penisola. I dati esprimono in primis l’impossibilità reale per molti giovani in cerca di occupazione di trovare lavoro, il freno di un economia ormai cronicamente stagnante che ci regala, alla resa dei conti, 142 mila disoccupati! Questi numeri vanno letti in modo corretto, ossia togliendo dai 142 mila le persone che non hanno mai avuto un contratto di lavoro e altri soggetti che percepiscono un reddito annuo inferiore a 8mila euro all’anno, 4.800 euro annui lordi per gli autonomi. Sia pur con tali cautelativi resta sempre un dato ineliminabile: una crescita della disoccupazione che in dodici mesi passa dai 126.896 a 142.337 in provincia di Brescia tanto che i Centri per l’impiego accertano una percentuale di disoccupazione pari al 24% della popolazione. Una questione complessa e semplice al tempo stesso. Perché semplice? Mi ricordo qualche anno fa, dieci, quindici anni fa credo…. gli aerei cargo che partivano solerti dall’aeroporto di Brescia. Si stiamo parlando proprio dell’aereoporto di Brescia Montichiari, aerei carichi di tecnologie, macchinari e chissà cos’altro ancora. Quelli si erano dati diversi, noi non li conosciamo bene e forse nemmeno i Centri per l’impiego, anzi di sicuro loro non si sono mai occupati di calcolarli. Non era, purtroppo, un loro compito. Ora però si devono fare altri conti con migliaia di vittime di quel grosso e capiente aereo cargo, che indisturbato, in silenzio, librandosi nel cielo di Brescia direzione sud-est spostava le produzioni bresciane e italiane insieme verso lidi meravigliosi, dove la gente si può sfruttare senza i Centri per l’impiego, dove uomini e donne, non esclusi bambini, lavorano dodici ore al giorno senza tutele, senza Leggi 104, senza statuti dei lavoratori, senza articoli sui giornali interessati a loro, senza nemmeno gli occhi per piangere le loro miserie. A queste 142 mila persone bresciane e italiane non si può raccontare oggi che gli imprenditori del libero mercato sono appunto liberi di andare dove desiderano con i loro mezzi e le loro tecnologie. A loro, forse, poco interessa sapere che le delegazioni Cinesi, che vennero accolte in pompa magna a Brescia anni fa li stavano generando quei 142 mila, con l’approvazione del nostro Governo e dei nostri imprenditori. Mi chiedo addirittura se la nascita di quell’aereoporto, in realtà, non rappresentò che il battesimo di questa sciagurata economia voluta da Cinesi e italiani insieme! Dove sono finiti i profitti di quella delocalizzazione? Quanti posti di lavoro hanno generato? Prodotti si ne sono arrivati tantissimi, di scarsa qualità e appetibili anche per noi italiani, cibi a parte! Ma in un Paese come l’Italia, dove è presente un Parlamento eletto democraticamente da cittadini liberi di pensare e di ragionare compiutamente, non è possibile giustificare in alcun modo ciò che è accaduto con quell’aereo cargo nelle notti bresciane (si alzava in volo di notte...), quell’Ocean Airlines spa, un azionariato composto da investitori austriaci (Finrep, 80%) e italiani (Ital Aviation, 20%). Ciò che rappresenta quell’aereo cargo lo abbiamo visto nei pregiatissimi documenti di Rai Report, perché nei luoghi di lavoro in Cina, Pakistan, Bangladesh l’impoverimento sociale è identico! Da noi in Italia si chiama disoccupazione, nei funerei luoghi di lavoro in oriente sfruttamento e schiavismo. Questo egoismo economico è destinato, nel tempo, a fare emergere un dato che non è fatto di cifre o di percentuali in quanto è un dato umano, non quantificabile con i potenti strumenti digitali: si chiama mancato rispetto per i Diritti Umani, calpestati da quella che il Santo Padre ha chiamato, sapientemente, economia della morte. Questa economia, e con lei i nostri governanti e imprenditori, ha caricato su quell’aereo anche l’art. 1 della nostra Costituzione. L’Italia non è più una Repubblica in grado di tutelare il lavoro. Prof.ssa Carolina Manfredini Docente Scienze Umane
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25 marzo, 2015

Ho letto con attenzione la lettera della professoressa Carolina Manfredini e mi fa piacere che un’insegnante abbia rivolto la sua attenzione ai problemi dell’economia e del territorio. Con cortesia nei confronti della docente non posso tuttavia non osservare che la lettura che la docente propone di alcune trasformazioni dell’economia o non è più attuale - e mi riferisco alla definizione di delocalizzazione che non c’è più da oltre quindici anni - oppure è fuorviante, come nel caso dei dati sulla disoccupazione. La professoressa Manfredini si chiede infatti «dove sono finiti i profitti di quella delocalizzazione? Quanti posti di lavoro hanno generato?». Oggi è anacronistico parlare di delocalizzazione, fenomeno che nella prima fase ha riguardato soprattutto la moda o le produzioni a basso valore aggiunto, ed il volo da Montichiari verso l’Oriente se non fosse partito da Brescia sarebbe partito da un nostro Paese concorrente. Oggi si va all’estero perché l’internazionalizzazione è indispensabile per rimanere nel circuito dei grandi clienti, oppure per acquisirne di nuovi; le aziende bresciane all’estero sono oltre trecento e questa loro scelta di andare - a produrre o a vendere - anche fuori dall’Italia, ha consentito di mantenere vivi la gran parte degli stabilimenti italiani: la storia di Fiat Chrysler, e gli effetti che le scelte compiute stanno avendo sullo stabilimento di Melfi, o in quello di Grugliasco per Maserati, sono sotto gli occhi di tutti, risultato certo della qualità del prodotto e del positivo andamento del mercato, ma anche di precise e ineludibili scelte strategiche. Oggi - gentile professoressa - «andare all’estero» è indispensabile per la sopravvivenza delle imprese, per non perdere competitività, per poter mantenere testa, braccia e cuore in Italia, Paese in cui il costo del lavoro, e soprattutto la rigidità delle leggi sul lavoro, fino pochi giorni fa erano un ostacolo allo sviluppo, mentre ora la nuova legge sul jobs act ci permette di esser più europei e più moderni. Oggi il mercato è il mondo. Dobbiamo quindi ricreare le condizioni perché fare impresa sia ancora possibile in Italia, diffondendo a tutti i livelli della società una nuova cultura d’impresa, cominciando proprio dalle scuole. Dobbiamo far capire a tutti che, oggi, il rilancio del nostro Paese passa attraverso la centralità dell’industria manifatturiera, vero e proprio motore di innovazione e sviluppo. Quanto alla disoccupazione, la professoressa Mantredini propone una lettura dei dati non corretta: parla infatti di l42mila senza lavoro, dato che comprende anche chi percepisce redditi minimi. Come rileva l’articolo del quotidiano che ci ospita, da cui lei immagino abbia ricavato i dati, il valore comprende chi non ha mai avuto un lavoro ed ora lo sta cercando, chi ha cessato un rapporto di lavoro ed è ora disponibile ad iniziarne un altro e chi - infine - percepisce un reddito netto inferiore a 8mila euro (4.800 per gli autonomi). Se inserissimo i mini jobs nei dati sul lavoro della Germania, anche per i tedeschi le statistiche sarebbero estremamente pesanti. Gentile professoressa, le imprese industriali che rappresento stanno facendo tutte la loro parte e non si sono rassegnate agli effetti della crisi, anzi hanno reagito con gli investimenti e mantenendo i posti di lavoro, in questo aiutati là dove era necessario - dal ricorso agli ammortizzatori sociali. L’indagine sull’occupazione del 2013 nell’industria manifatturiera ci delinea così un calo degli occupati dell’l%, che - credo converrà - è quindi di sostanziale stabilità convinti che solo il lavoro possa creare sviluppo, benessere, equità e stabilità sociale e preoccupati per quel 9,1% di tasso di disoccupazione (circa cinquantamila persone) che in provincia sono senza lavoro. Colgo allora l’occasione per invitarla a visitare la mia azienda, o un’altra azienda associata ad Aib, dove con i suoi allievi potrà valutare personalmente (e mi auguro apprezzare) ciò che Brescia sta facendo. Solo difendendo le imprese potremo infatti creare lavoro e occupazione. Marco Bonometti Il Presidente Associazione Industriale Bresciana
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Produrre nel mondo per difendere il made in Brescia


Giornale di Brescia Lettere al direttore

27 aprile 2015.


Ringrazio il Presidente dell’ Associazione Industriale Bresciana Marco Bonometti per la cordiale risposta al mio articolo sullo stato di impoverimento e disoccupazione generato dal modus operandi degli imprenditori presente nel nostro paese e a Brescia.
Lo ringrazio perché la sua risposta è  una chiara manifestazione, verrebbe da dire una pragmatica  ed evidente prova dello stato attuale del modo di fare economia oggi nel mondo.
Se il mondo va nelle direzione sbagliata tutti lo seguono: ecco la sintesi della globalizzazione , che sia quella che i sociologi chiamano  la Globalizzazione delle disuguaglianze sociali?
La questione è sempre  molto semplice, non è complicata.
“-L'Europa è in evidente affanno nel fronteggiare una competizione globale che è sempre più agguerrita. La gravità e la durata della crisi impongono a tutti noi che operiamo nelle istituzioni l'obbligo di contribuire a definire soluzioni innovative, non limitandoci a ripetere ricette già ampiamente praticate in passato che oggi non sono più realizzabili o che si sono rivelate inefficaci. L'Europa non può accettare  una progressiva marginalizzazione negli scenari internazionali né un lento ma inesorabile impoverimento, non si può pensare che il futuro del nostro Continente possa ridursi ad una estenuante rincorsa delle cosiddette economie emergenti che si avvalgono del vantaggio competitivo di bassi livelli salariali e standard di protezione e di garanzie dei lavoratori e di sistemi di welfare incomparabilmente inferiori a quelli europei”- (Fonte: Camera dei Deputati, intervento della Presidente della Camera Laura Boldrini alla Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti  UE ).
Non si stupisca Sig. Presidente del fatto che una  docente di Scienze Umane non sappia discernere tra attualità e non attualità delle trasformazioni dell’ economia. Vede io sono onorata di “non essere moderna” in quanto quella modernità a cui lei si riferisce, non lo dimentichi, ha generato un pericoloso processo di accumulo di denaro per pochi e una disuguaglianza sociale sempre più cronica e pesante per molti. Ha  altresì dato vita a un accumulo di veleni nei cibi e nell’ aria che respiriamo, in particolare a Brescia. Il termine delocalizzazione esiste in questi problemi ed esprime, lo ribadisco, un egoismo formidabile, inaudito, inaccettabile questa è la verità. In Italia è assente una politica industriale che tuteli le aziende interne,  in Italia! Ma in economia conta ancora qualcosa la parola verità? I profitti delle Multinazionali e delle aziende che de-localizzano sfruttando la povera gente  dove non esistono Leggi 104 o diritti sanciti dalle Leggi sono vergognosi. Ma l’ economia alla quale lei si riferisce non tiene in alcun conto di questi dati, che sono umani non frutto di stupidi calcoli matematici. I numeri sulla disoccupazione bresciana che lei, la ringrazio per questo, mi rettifica a me non interessano: a me interessa il fatto che le nuove generazioni dovranno concepire e sostenere un nuovo modo di produrre mediante schemi concettuali umani, solidali con l’ art 1 della Costituzione che lei si è guardato bene dal citare come non ha   speso una parola sullo sfruttamento di migliaia di donne e uomini in Cina, Pakistan, , altro ambito occultato dalla cosiddetta” economia moderna”.
Dove sono finiti i profitti delle  delocalizzazioni? Invito i lettori ad andarli a  vedere su You Tube,l’ inchiesta giornalistica si chiama Made in Italy, realizzata da  Report-Rai 3.Quella è  la verità. Se in Italia esisteva una politica seria, attenta e rispettosa della dignità delle persone  in Italia e all’ estero quell’ aereo non doveva proprio partire né da Montichiari né da nessun aeroporto Italiano.
Le produzioni dovevano restare in Italia non come ha fatto Fiat, che per decenni abbiamo mantenuto noi italiani a suon di miliardi di lire.
Testa braccia e cuore ora riposano nelle moderne fiscalità nel regno Unito o  in Belgio,  dove tutti sanno che, come   in Olanda, non  si aderisce alla Financial Transaction Tax promossa dalla Commissione europea e adottata dall’Italia.
Ma pagare le tasse non è più moderno, in questo lei ha  ragione.
La ringrazio Presidente per la lezione. Ne farò tesoro.

Prof.ssa Carolina Manfredini
Docente di Scienze Umane.


MA QUALI SONO LE VERE RAGIONI DELLA DE-LOCALIZZAZIONE?

Se chiediamo al' uomo della strada risponde in modo chiaro e netto: perchè qui in Italia le aziende non possono più produrre COSTA MOLTO.
La parola a chi è rimasto in Italia potrebbe aiutarci a capire meglio due concetti : Globalizzazione e de-localizzazione, o se preferite de-tassazione. Come non pagare un sistema sociale che ha generato la ricchezza di  chi se ne va, porta fuori dai nostri confini le aziende che noin Italiani abbiamo contribuito a creare. Attenzione qui: non pagare le tasse significa mandare allo sfascio le ISTITUZIONI SOCIALI quei modelli regolatori della vita sociale che muoiono senza risorse economiche.

Il 100% made in Italy merita sconti fiscali”

mercoledì, 26 novembre 2014
Mr Tod’s presenta la sua ricetta in tre punti “fattibili dall’oggi al domani”. Investitori interessati a far crescere le aziende nel medio termine. Rendere appealing la manifattura e svecchiare la formazione professionale. E studiare meno tasse per coloro che non delocalizzano. “Tornerebbero tutti”.




La ricetta per far ripartire l’Italia? Si chiama defiscalizzazione delle produzioni 100% made in Italy. La proposta arriva da Diego Della Valle, patron del gruppo Tod’s, alfiere dell’italianità e, secondo rumors dello scorso autunno, prossimo a una discesa in politica. Intervistato da Enrico Mentana, l’imprenditore ha lanciato un messaggio chiaro per far ripartire concretamente l’Italia. Perché, nonostante anni di delocalizzazione, il Belpaese è tuttora la mecca dell’alta qualità manifatturiera.

La parola chiave di quest’anno è rilocalizzazione o, per dirla con uno slogan, Back to Italy. Siamo di fronte a un trend a tutti gli effetti?
È una tendenza interessante, ma partirei subito dicendo che la soluzione va trovata in un modo pratico e vero. Servono strumenti per consentire agli industriali di restare in Italia o tornare qui. In pratica, bisogna aiutarli ad avere dei conti che tornino. Esistono tre cose assolutamente fattibili dall’oggi al domani. Le piccole aziende avrebbero bisogno di investitori in grado di restare per tre anni nel capitale della società. Al termine del triennio si può poi pensare di sbarcare sui listini azionari. Questo eviterebbe alle piccole realtà in cerca di capitali di entrare subito in un mondo più grande di loro che a fatica reggerebbero, e, d’altro canto, gli investitori potrebbero così puntare su collocamenti comunque seri. Seconda cosa. Si parla di Back to Italy ma questo può funzionare a patto che ci sia la manodopera. La disoccupazione è un problema annoso, tuttavia non sono abbastanza i giovani in grado di dedicarsi a mestieri come questi. Sono considerati non appealing. È arrivato invece il momento di rimettere al centro dell’attenzione tutti gli istituti professionali che abbiamo in Italia, e riqualificarsi anche dal punto di vista dell’immagine. Infine, vogliamo veramente che la gente riconosca una certa convenienza nel tornare in Italia? È semplice: uno sconto fiscale a quanti producono interamente in Italia. Se volessimo realizzare queste tre cose elementari penso che in una settimana si potrebbe studiare il programma in modo serio.
Quanta parte del mondo produttivo Tod’s attualmente è prodotto fuori dai confini nazionali?
Nulla per il marchio Tod’s: è interamente realizzato in Italia. Roger Vivier altrettanto. Per Hogan, il 60% del prodotto è fatto qua con l’eccezione di alcune lavorazioni che attualmente non vengono più prodotte da noi. Al di là di tutto, credo che più di ogni altra cosa sia importante mettere a conoscenza il cliente con una tracciabilità trasparente. Ci sono aziende che hanno un tale know how, una tale capacità creativa e controllo qualità che possono realizzare i prodotti all’estero, per esempio in Romania, senza alcun tipo di problema. Benissimo, a patto che ci sia scritto chiaramente. Dopodiché è il consumatore che sceglie.
Sareste pronti a riportare quel 40% rimanente di Hogan in Italia?
Come no. Però c’è di mezzo anche una questione di costo finale per una serie di prodotti. Hogan si inserisce nel segmento premium, ma ci sono alcune proposte che hanno un livello di prezzo differente. Per non far pagare troppo al consumatore qualcosa che non può avere quel valore si va a produrre una singola parte in un altro Paese. Ribadisco, l’importante è che il consumatore lo sappia.
Negli ultimi anni, il mondo del lusso è stato toccato da una serie di grandi cambiamenti. Prima con la vendita di Loro Piana e ora con l’uscita di super manager del made in Italy come Andrea Guerra da Luxottica. È il segnale anticipatore di un cambiamento in vista?
Partiamo dalla questione Loro Piana. Ci sono due realtà francesi (Lvmh e Kering) che hanno deciso a suo tempo di diventare delle holding che operano nel mondo del lusso. Si sono strutturate e si sono trasformate in macchine che acquistano società del segmento luxury. In Italia non esistono società di questo tipo, c’è invece un sistema di imprese eccellenti dove il proprietario è sostanzialmente l’uomo che si è occupato della nascita della sua azienda. Non siamo meglio né peggio. Semplicemente non ci sono al momento questi strumenti in Italia. Per quanto riguarda l’uscita di Andrea Guerra da Luxottica, quel che è accaduto mi dispiace. Dopodiché credo sia legato alle volontà di preservare il gruppo seguendo la precisa visione e volontà del fondatore.
Di Milena Bello 
  


Quello che succede in Italia è surreale. Le nostre aziende hanno esportato la produzione in Cina, in Romania, in Bulgaria, in Polonia, in Brasile gratis senza pagare nulla, dopo che sono state mantenute da noi, con la benedizione dei governi. Il guadagno ottenuto è finito nelle tasche degli imprenditori che hanno abbassato i costi di produzione e mantenuti invariati i prezzi. E i prodotti fabbricati all'estero, se progettati in Italia (quindi quasi sempre), hanno conservato il marchio "Made in Italy". I dipendenti italiani sono stati licenziati a centinaia di migliaia, ma questo è un dettaglio. All'export delle nostre aziende corrisponde da tempo la chiusura delle filiali delle multinazionali presenti in Italia. Da qualche mese sta diventando una fuga di massa. Dopo Alcoa, Fiat, Yamaha, Motorola e Nokia (per citarne solo alcune) è il turno della Glaxo che lascia a piedi 500 dipendenti in Veneto. Le nostre aziende delocalizzano e le imprese straniere chiudono. Il prossimo passo sarà la delocalizzazione degli italiani
fonte: 7 Feb 2010, 22:03 Blog beppe grillo
 Di seguito l'articolo de "Il Fatto Quotidiano":
Da Fiat a Benetton, passando per Telecom e Ducati. Ecco una mappa delle attività spostate all’estero da alcuni grandi gruppi italiani.

FIAT: stabilimenti aperti in Polonia, Serbia, Russia, Brasile, Argentina. Circa 20. 000 posti di lavoro persi, dai 49. 350 occupati nel 2000 si arriva ai 31. 200 del 2009 (fonte: L’Espresso).

DAINESE: due stabilimenti in Tunisia, circa 500 addetti; produzione quasi del tutto cessata in Italia, tranne qualche centinaio di capi.

GEOX: stabilimenti in Brasile, Cina e Vietnam; su circa 30. 000 lavoratori solo 2. 000 sono italiani.
 
BIALETTI: fabbrica in Cina; rimane il marchio dell’ “omino”, ma i lavoratori di Omegna perdono il lavoro.

OMSA: stabilimento in Serbia; cassa integrazione per 320 lavoratrici italiane.


ROSSIGNOL: stabilimento in Romania, dove insiste la gran parte della produzione; 108 esuberi a Montebelluna.

DUCATI ENERGIA: stabilimenti in India e Croazia.

BENETTON: stabilimenti in Croazia.

CALZEDONIA: stabilimenti in Bulgaria.
 
STEFANEL: stabilimenti in Croazia.

TELECOM ITALIA: call center in Albania, Tunisia, Romania, Turchia, per un totale di circa 600 lavoratori, mentre in Italia sono stati dichiarati negli ultimi tre anni oltre 9. 000 esuberi di personale.

WIND: call center in Romania e Albania tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 300 lavoratori. H 3 G: call center in Albania, Romania e Tunisia tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 400 lavoratori impiegati.

VODAFONE: call center in Romania tramite aziende di outsourcing, per un totale di circa 300 lavoratori impiegati.

SKY ITALIA: call center in Albania tramite aziende di outsourcing, per un totale di circa 250 lavoratori impiegati. Nell’ultimo anno sono stati circa 5. 000 i posti di lavoro perduti solamente nei call center che operano nel settore delle telecomunicazioni, tra licenziamenti e cassa integrazione.




 Di seguito l'articolo de "Il Fatto Quotidiano":
Da Fiat a Benetton, passando per Telecom e Ducati. Ecco una mappa delle attività spostate all’estero da alcuni grandi gruppi italiani.

FIAT: stabilimenti aperti in Polonia, Serbia, Russia, Brasile, Argentina. Circa 20. 000 posti di lavoro persi, dai 49. 350 occupati nel 2000 si arriva ai 31. 200 del 2009 (fonte: L’Espresso).

DAINESE: due stabilimenti in Tunisia, circa 500 addetti; produzione quasi del tutto cessata in Italia, tranne qualche centinaio di capi.

GEOX: stabilimenti in Brasile, Cina e Vietnam; su circa 30. 000 lavoratori solo 2. 000 sono italiani.
 
BIALETTI: fabbrica in Cina; rimane il marchio dell’ “omino”, ma i lavoratori di Omegna perdono il lavoro.

OMSA: stabilimento in Serbia; cassa integrazione per 320 lavoratrici italiane.


ROSSIGNOL: stabilimento in Romania, dove insiste la gran parte della produzione; 108 esuberi a Montebelluna.

DUCATI ENERGIA: stabilimenti in India e Croazia.

BENETTON: stabilimenti in Croazia.

CALZEDONIA: stabilimenti in Bulgaria.
 
STEFANEL: stabilimenti in Croazia.

TELECOM ITALIA: call center in Albania, Tunisia, Romania, Turchia, per un totale di circa 600 lavoratori, mentre in Italia sono stati dichiarati negli ultimi tre anni oltre 9. 000 esuberi di personale.

WIND: call center in Romania e Albania tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 300 lavoratori. H 3 G: call center in Albania, Romania e Tunisia tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 400 lavoratori impiegati.

VODAFONE: call center in Romania tramite aziende di outsourcing, per un totale di circa 300 lavoratori impiegati.

SKY ITALIA: call center in Albania tramite aziende di outsourcing, per un totale di circa 250 lavoratori impiegati. Nell’ultimo anno sono stati circa 5. 000 i posti di lavoro perduti solamente nei call center che operano nel settore delle telecomunicazioni, tra licenziamenti e cassa integrazione



Di seguito l'articolo de "Il Fatto Quotidiano":
Da Fiat a Benetton, passando per Telecom e Ducati. Ecco una mappa delle attività spostate all’estero da alcuni grandi gruppi italiani.

FIAT: stabilimenti aperti in Polonia, Serbia, Russia, Brasile, Argentina. Circa 20. 000 posti di lavoro persi, dai 49. 350 occupati nel 2000 si arriva ai 31. 200 del 2009 (fonte: L’Espresso).

DAINESE: due stabilimenti in Tunisia, circa 500 addetti; produzione quasi del tutto cessata in Italia, tranne qualche centinaio di capi.

GEOX: stabilimenti in Brasile, Cina e Vietnam; su circa 30. 000 lavoratori solo 2. 000 sono italiani.
 
BIALETTI: fabbrica in Cina; rimane il marchio dell’ “omino”, ma i lavoratori di Omegna perdono il lavoro.

OMSA: stabilimento in Serbia; cassa integrazione per 320 lavoratrici italiane.


ROSSIGNOL: stabilimento in Romania, dove insiste la gran parte della produzione; 108 esuberi a Montebelluna.

DUCATI ENERGIA: stabilimenti in India e Croazia.

BENETTON: stabilimenti in Croazia.

CALZEDONIA: stabilimenti in Bulgaria.
 
STEFANEL: stabilimenti in Croazia.

TELECOM ITALIA: call center in Albania, Tunisia, Romania, Turchia, per un totale di circa 600 lavoratori, mentre in Italia sono stati dichiarati negli ultimi tre anni oltre 9. 000 esuberi di personale.

WIND: call center in Romania e Albania tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 300 lavoratori. H 3 G: call center in Albania, Romania e Tunisia tramite aziende in outsourcing, per un totale di circa 400 lavoratori impiegati.

VODAFONE: call center in Romania tramite aziende di outsourcing, per un totale di circa 300 lavoratori impiegati.

SKY ITALIA: call center in Albania tramite aziende di outsourcing, per un totale di circa 250 lavoratori impiegati. Nell’ultimo anno sono stati circa 5. 000 i posti di lavoro perduti solamente nei call center che operano nel settore delle telecomunicazioni, tra licenziamenti e cassa integrazione.



1.
 ABRUZZESI:

TORNATE A LAVORARE LE VOSTRE TERRE, LASCIATE PERDERE L' ATTIVITA' NELLE INDUSTRIE!

di  Carolina Manfredini


Riceviamo e pubblichiamo:
A seguito dell'incontro tenutosi il 23 agosto 2012 presso la Prefettura di Chieti, queste Organizzazioni Sindacali sono obbligate a denunciare il peggioramento della situazione gestionale del Consorzio Industriale del Sangro .
I Dipendenti dell’Ente informano le Autorità competenti, gli Enti territoriali, le Aziende, i Lavoratori, i Cittadini del Sangro e dell’intero Abruzzo che il Consorzio Industriale storicamente a sostegno del tessuto produttivo della Val di Sangro (Sevel, Honda, Irplast, Pierbug, IMM, Hydro Alluminio Atessa, PAIL, Pelliconi, Valagro, Honeywell, etc.) con la fornitura di servizi essenziali alla vita delle stesse aziende e dell’economia del comprensorio, sta sopportando una difficile fase economico-organizzativa, venutasi a determinare a causa dell’inerzia della politica regionale e locale.
Il Governo regionale, a distanza di quattro anni dagli annunci trionfalistici di rottamare i vecchi Consorzi industriali e creare la nuova Agenzia Regionale Attività Produttive, non ancora ne viene a capo e, con la legislatura regionale che volge al termine, qualunque ulteriore azione in tal senso assume i connotati di un’operazione di facciata e di propaganda elettorale. 
Nel frattempo, dal 2009 ad oggi, il Consorzio commissariato è stato abbandonato a se stesso. In nome della riforma tutte le decisioni importanti sono state rinviate all’entrata in funzione dell’ARAP (Agenzia Regionale Attività Produttive) che dovrebbe sostituire gli attuali Consorzi industriali.
Negli ultimi anni di gestione, sono aumentati a dismisura i contenziosi; decine di incarichi legali sono stati assegnati per pratiche di recupero crediti nei confronti delle Aziende; si dubita che per dette pratiche i costi per il Consorzio siano superiori ai ricavi; inoltre le Aziende, già investite dalla congiuntura economica negativa, vengono ulteriormente gravate da atti giudiziari.
L’aspetto più sconcertante è che si registrano contenziosi legali anche nei confronti di:
- Enti regionali, a loro volta commissariati, come l’A.T.O (la Regione che fa causa a se stessa);
- Comuni che sono soci del Consorzio Industriale (consorziati che si fanno causa tra di loro);
- SASI S.p.A. (Società Abruzzese per il Servizio Idrico Integrato).
Tranne alcune sporadiche apparizioni, la Politica regionale, provinciale e locale, non si è occupata delle vere problematiche delle aree industriali, non si è minimamente interessata delle attività che il Consorzio continua a svolgere, seppur con il personale a ranghi ridotti e con gli impianti tecnologici ormai arrivati al limite della loro vita operativa.
L’Assessore Regionale allo sviluppo economico Alfredo Castiglione ci ha informato che probabilmente la riforma dei Consorzi non andrà in porto in questa legislatura, ma che si dovrà attendere ancora diversi mesi; ciò, a nostro avviso, significa che, in mancanza di interventi chiari e decisi, gli attuali Consorzi accumuleranno ritardo, inefficienza, difficoltà operative e gestionali.
Se il Consorzio nel prossimo futuro non sarà in grado di assicurare i propri servizi (fornitura di acqua per uso civile, industriale, depurazione, manutenzione stradale, illuminazione, servizi tecnici, amministrativi, urbanistici, e di pianificazione infrastrutturale) sarà solamente dovuto all’inerzia della Politica regionale che, pur avendo commissariato il Consorzio dal 1994, non è stata in grado di modernizzarlo e di farlo crescere di pari passo con le esigenze del mondo produttivo della Val di Sangro.
Rey G

CHIEDETEVI COME MAI SIETE COSTRETTI A LAVORARE IN FABBRICA?

1200 EURO AL MESE
  per condannarvi ad una vita che non è  sana,
 i vostri nonni vivevano in modo sano,
 liberi, 
voi siete schiavi delle mode
 del NORD
 loro camminavano sereni nelle loro campagne, condividevano tutto con gli altri,
 erano forti e gentili,
 voi siete schiavi degli industriali
 che vi fanno ammalare,
 le vostre ossa sono spezzate
 le vostre schiene devastate da malattie,
 tornate a lavorare la vostra terra
la poltica deve capire
dobbiamo costringerli
  siamo noi che  decidiamo non loro noi ,
 la politica  deve capire che vogliamo tornare a valorizzare i prodotti della terra,
  ce  li devono strapagare
 il CONTADINO 
deve essere il futuro
 non le multinazionali
 che ci farano morire di cancro,
 noi contadini  siamo il futuro
 IL CONTADINO è il futuro, 
la società giusta, non diseguale, che valorizza l' ambiente  e il cibo sano simao noi contadini.
Io sono contadina!
 Esattamente i soggeti che EXPO non ha accettato I CONTADINI 
sono  il futuro, 
SIAMO IN GUERRA
 ricordatelo.
Noi , loro, contadini multinazionali
siamo in guerra
questa è una guerra
veleni nei piatti
cibo sano coltivato  A MANO
NOI
LORO 

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DISUGUALI ISTITUZIONALI

Stefano Rodotà, Giuliano Amato, Gino Paoli: sono loro i campioni dello spread dei vitalizi, ovvero la differenza tra quanto versato di contributi e quanto effettivamente incassato come rendita. La medaglia d'oro spetta al professore che con grande ingenuità i grillini, cha hanno fatto della battaglia ai privilegi la loro bandiera, voleva portare al Quirinale; medaglia d'argento al "dottor Sottile" che sostiene di aver sempre girato il vitalizio in beneficenza (ma la sostanza non cambia); medaglia di bronzo a Gino Paoli che oltre a cantare sedette sui banchi di Montecitorio dal 1987 al 1992 tra le fila del partito comunista. Franco Bechis, su Libero in edicola oggi, elanca tutti gli onorevoli che godono di questo privilegio.
Gli altri nomi - La classifica continua con l'imprenditore Luciano Benetton, fondatore del gruppo omonimo e senatore per il Partito Repubblicano Italiano dal 1992 al 1994; il filosofo Massimo Cacciari, ex militante di Potere Operaio aderì al Pci e fu eletto alla Camera dei deputati dal 1976 al 1983; e il leader dei Sessantottini Mario Capanna che diventò parlamentare europeo nel 1979 dopo essersi candidato con Democrazia Proletaria. Deputato nazionale dal 1983 al 1987 nel 1989 aderì al gruppo misto della Camera dei deputati, e pochi mesi dopo partecipò alla nascita di un nuovo movimento politico italiano: i "Verdi Arcobaleno", formazione della sinistra ambientalista.
Seguono Agusto Fantozzi, rettore dell'Università degli Studi Giustino Fortunato e più volte ministro della Repubblica; Franco Debenedetti, fratello del patron di Repubblica Carlo De Benedetti (che ha sempre usato il cognome staccato) che per tre legislature è stato eletto al Senato della Repubblica, rispettivamente del 1994, 1996 e 2001 per le liste del PDS e DS. Chiudono la classifica dei 10 papponi delle pensioni il sindaco di Fiumicino Esterino Montino e il primo cittadino dell'Aquila Massimo Cialente.
Il meccanismo - Questa schiera di fortunati "di fatto non ha versato nulla, perché stabilendo l'ammontare dello stipendio da parlamentare ci hanno pensato Camera e Senato a versare i contributi per loro conto. Ma non c'è paragone fra quel piccolo impegno (8,8% del lordo mensile) e quel che è venuto in tasca a loro dal giorno in cui hanno potuto percepire il vitalizio. Oggi vitalizio o mini-vitalizio si percepisce con 5 anni di contributi a 65 anni. Ma se hai 6 anni di contributi, la pacchia inizia a 64, se ne hai 7 puoi prendere l'assegno previdenziale a 63, e così via fino a 10 anni di contributi, con cui puoi andartene in pensione a 60 anni in barba a tutti gli altri lavoratori d'Italia che a quella età non possono incrociare le braccia né con 10, né con 15, né con 20, 25 o 30 anni di lavoro".


fonte LIBERO, quotidiano http://www.liberoquotidiano.it/news/politica/11789653/Vitalizi--ecco-i-primi-dieci.html


da qui è possibile leggere i VITALIZI asseganti
dall Rivoluzione Francese a oggi non è cambiato nulla
la cosa pubblica non è governabile senza corruzione

ABATERUSSO ERNESTO
2545.75
10
ABBATANGELO MASSIMO
4676.75
20
ABBIATI AMAELE
2017.23
5
ABBONDANZIERI MARISA
2882.55
10
ABBRUZZESE SALVATORE
1983.69
5
ABELLI GIANCARLO*
1409.16
5
ABENANTE ANGELO
3791.13
15
ABETE GIANCARLO
3796.38
15
ABIS LUCIO
5796.88
27
ABRAMONTE ANNA MARIA
2158.27
5
ACCAME FALCO
2852.10
10
ACCIARINI MARIA CHIARA
3069.24
10
ACCIARO GIOVANNI CARLO
2010.16
5
ACCREMAN VENIERO
3276.91
12
ACHILLI MICHELE
5797.39
28
ACONE MODESTINO
2163.05
5
ACQUARONE LORENZO
5125.13
25
ACQUAVIVA GENNARO
3068.07
10
AGNALETTI ANDREA
2039.00
5
AGOSTINACCHIO PAOLO
3811.56
15
AGOSTINI MAURO*
5079.90
19
AGRUSTI MICHELANGELO
2916.78
10
AJELLO ALDO
2852.10
10
ALAGNA EGIDIO
2866.15
10
ALAIMO VINCENZO
2026.73
5
ALASIA GIOVANNI
2017.23
5
ALBANI GIAN MARIO
2163.56
5
ALBERICI AURELIANA
3791.46
15
ALBERTINI GIUSEPPE
4684.19
20
ALBERTINI LILIANA
2098.35
6
ALBONETTI GABRIELE *
3546.24
15
ALBONI EDGARDO
3105.17
10
ALBORGHETTI GUIDO
4684.19
20
ALDROVANDI PEPPINO
2898.79
10
ALEFFI GIUSEPPE
2043.94
5
ALEMANNO GIOVANNI
4419.91
17
ALESSI ALBERTO
4105.40
15
ALETTI URBANO
2200.10
5
ALFANO GENNARO
2855.73
10
ALIBRANDI TOMMASO
2016.42
5
ALINOVI ABDON
4676.75
20
ALIVERTI GIANFRANCO
5283.16
27
ALLEGRA PAOLO
3080.60
10
ALLEGRI CESARE
3834.59
15
ALLERA PIERGIORGIO
2877.78
10
ALOI FORTUNATO
4652.84
20
ALOISE GIUSEPPE
2042.05
5
ALOISIO FRANCESCO
2876.78
10
ALTEA ANGELO
3128.34
10
ALTISSIMO RENATO
4856.89
22
ALVETI GIUSEPPE
2875.63
10
AMABILE GIOVANNI
3804.27
15
AMADEI GIUSEPPE
5477.68
31
AMALFITANO DOMENICO
4701.83
20
AMATO GIULIANO
5170.22
25
AMATO GIUSEPPE
2848.11
10
AMBROGIO FRANCO
3779.09
15
AMODEI FAUSTO
2017.23
5
AMODEO NATALE
3824.14
15
ANDO' ANTONIO
2162.78
5
ANDO' SALVATORE
4695.60
20
ANDREANI RENATO
2019.51
5
ANDREINI ELIOS
3101.87
10
ANDREOLI GIUSEPPE
3771.83
15
ANDREOLI REMO
2187.04
5
ANDREOLLI TARCISIO
2216.39
5
ANDREONI GIOVANNI
5873.06
29
ANDRIA ALFONSO*
2917.08
8
ANDRIANI ANTONIO
3068.07
10
ANEDDA GIANFRANCO
4752.92
20
ANGELICI VITTORIO
1994.14
5
ANGELI GIUSEPPE *
2208.80
6
ANGELIN GASTONE
3100.05
10
ANGELINI GIORDANO
4718.44
20
ANGELINI PIERO
3855.60
15
ANGELONI ALCIDE
3111.63
10
ANGELONI LUANA
3838.05
15
ANGHINONI UBER
3819.95
15
ANGIONI FRANCO
1983.69
5
ANGIUS GAETANO
2187.38
5
ANGIUS GAVINO
5670.87
27
ANSELMI TINA
5966.95
30
ANTOCI GIOVANNI FRANCESCO
2025.24
5
ANTONELLIS SILVIO
2909.90
10
ANTONIONE ROBERTO*
3941.00
15
ANTONIOZZI DARIO
5461.33
31
ANTONUCCI BRUNO
2043.76
5
ARATA PAOLO FRANCO
2016.42
5
ARBASINO NINO ALBERTO
2016.42
5
ARCHIUTTI GIACOMO
3117.95
10
ARDICA ROSARIO
1681.72
5
ARISIO LUIGI
2163.33
5
ARMANI COSTANTINO
2216.39
5
ARMAROLI PAOLO
2067.76
5
ARMELLIN LINO
4797.06
20
ARNABOLDI PATRIZIA
2058.28
5
ARNONE LUIGI
3067.52
10
ARNONE MARIO
2245.90
6
ARPAIA ALFREDO
2020.70
5
ARTALI MARIO
2058.28
5
ABATERUSSO ERNESTO
2545.75
10
ABBATANGELO MASSIMO
4676.75
20
ABBIATI AMAELE
2017.23
5
ABBONDANZIERI MARISA
2882.55
10
ABBRUZZESE SALVATORE
1983.69
5
ABELLI GIANCARLO*
1409.16
5
ABENANTE ANGELO
3791.13
15
ABETE GIANCARLO
3796.38
15
ABIS LUCIO
5796.88
27
ABRAMONTE ANNA MARIA
2158.27
5
ACCAME FALCO
2852.10
10
ACCIARINI MARIA CHIARA
3069.24
10
ACCIARO GIOVANNI CARLO
2010.16
5
ACCREMAN VENIERO
3276.91
12
ACHILLI MICHELE
5797.39
28
ACONE MODESTINO
2163.05
5
ACQUARONE LORENZO
5125.13
25
ACQUAVIVA GENNARO
3068.07
10
AGNALETTI ANDREA
2039.00
5
AGOSTINACCHIO PAOLO
3811.56
15
AGOSTINI MAURO*
5079.90
19
AGRUSTI MICHELANGELO
2916.78
10
AJELLO ALDO
2852.10
10
ALAGNA EGIDIO
2866.15
10
ALAIMO VINCENZO
2026.73
5
ALASIA GIOVANNI
2017.23
5
ALBANI GIAN MARIO
2163.56
5
ALBERICI AURELIANA
3791.46
15
ALBERTINI GIUSEPPE
4684.19
20
ALBERTINI LILIANA
2098.35
6
ALBONETTI GABRIELE *
3546.24
15
ALBONI EDGARDO
3105.17
10
ALBORGHETTI GUIDO
4684.19
20
ALDROVANDI PEPPINO
2898.79
10
ALEFFI GIUSEPPE
2043.94
5
ALEMANNO GIOVANNI
4419.91
17
ALESSI ALBERTO
4105.40
15
ALETTI URBANO
2200.10
5
ALFANO GENNARO
2855.73
10
ALIBRANDI TOMMASO
2016.42
5
ALINOVI ABDON
4676.75
20
ALIVERTI GIANFRANCO
5283.16
27
ALLEGRA PAOLO
3080.60
10
ALLEGRI CESARE
3834.59
15
ALLERA PIERGIORGIO
2877.78
10
ALOI FORTUNATO
4652.84
20
ALOISE GIUSEPPE
2042.05
5
ALOISIO FRANCESCO
2876.78
10
ALTEA ANGELO
3128.34
10
ALTISSIMO RENATO
4856.89
22
ALVETI GIUSEPPE
2875.63
10
AMABILE GIOVANNI
3804.27
15
AMADEI GIUSEPPE
5477.68
31
AMALFITANO DOMENICO
4701.83
20
AMATO GIULIANO
5170.22
25
AMATO GIUSEPPE
2848.11
10
AMBROGIO FRANCO
3779.09
15
AMODEI FAUSTO
2017.23
5
AMODEO NATALE
3824.14
15
ANDO' ANTONIO
2162.78
5
ANDO' SALVATORE
4695.60
20
ANDREANI RENATO
2019.51
5
ANDREINI ELIOS
3101.87
10
ANDREOLI GIUSEPPE
3771.83
15
ANDREOLI REMO
2187.04
5
ANDREOLLI TARCISIO
2216.39
5
ANDREONI GIOVANNI
5873.06
29
ANDRIA ALFONSO*
2917.08
8
ANDRIANI ANTONIO
3068.07
10
ANEDDA GIANFRANCO
4752.92
20
ANGELICI VITTORIO
1994.14
5
ANGELI GIUSEPPE *
2208.80
6
ANGELIN GASTONE
3100.05
10
ANGELINI GIORDANO
4718.44
20
ANGELINI PIERO
3855.60
15
ANGELONI ALCIDE
3111.63
10
ANGELONI LUANA
3838.05
15
ANGHINONI UBER
3819.95
15
ANGIONI FRANCO
1983.69
5
ANGIUS GAETANO
2187.38
5
ANGIUS GAVINO
5670.87
27
ANSELMI TINA
5966.95
30
ANTOCI GIOVANNI FRANCESCO
2025.24
5
ANTONELLIS SILVIO
2909.90
10
ANTONIONE ROBERTO*
3941.00
15
ANTONIOZZI DARIO
5461.33
31
ANTONUCCI BRUNO
2043.76
5
ARATA PAOLO FRANCO
2016.42
5
ARBASINO NINO ALBERTO
2016.42
5
ARCHIUTTI GIACOMO
3117.95
10
ARDICA ROSARIO
1681.72
5
ARISIO LUIGI
2163.33
5
ARMANI COSTANTINO
2216.39
5
ARMAROLI PAOLO
2067.76
5
ARMELLIN LINO
4797.06
20
ARNABOLDI PATRIZIA
2058.28
5
ARNONE LUIGI
3067.52
10
ARNONE MARIO
2245.90
6
ARPAIA ALFREDO
2020.70
5
ARTALI MARIO
2058.28
5
 http://espresso.repubblica.it/palazzo/2013/10/02/news/pensioni-d-oro-tutti-i-nomi-1.135600



Lettere al direttore Giornale di Brescia e altri giornali.
25 giugno 2015
Noi e le Multinazionali: una guerra senza fine.

L’ economia degli egoismi prosegue nel suo tentativo di avvelenarci con il cibo.
Il TTIP è arrivato ad un punto drammatico, nel quale il tentativo di evitare le leggi europee sta toccando tecnicismi cosi medievali da inorridire qualunque essere umano dotato di un minimo di razionalità.
Non sembra vero ma è cosi: i membri di potenti gruppi economici, sempre chiusi in stanze segrete concentrati nel tentativo di  sorpassare e rendere inefficaci  leggi europee e italiane,  tanto potenti quanto egoisti e pericolosissimi, stanno cercando d far passare ,  complice l’UE e qualche ministro italiano famoso, questo trattato commerciale che per essere efficace deve avere due caratteristiche.
 La prima : il consumatore italiano troppo protetto e tutelato legalmente dalle associazioni dei consumatori , dai Nas, e dalle altre leggi  buone italiane deve essere fatto fuori, in quanto nel trattato si prevede per legge che tu contro una Multinazionale non puoi andare e se ti rivolgi ad un tribunale per denunciare che nel tuo formaggio  trovi  sostanze velenosa, troppa chimica o OGM tu perdi in partenza perché se passa questo trattato i tribunali italiani non contano più nulla.
La seconda: avvelenarci con i cibi.
Ma ci rendiamo conto di cosa sta accadendo?
I cittadini ignorano tutto questo, nessuno ne parla, pochi vanno a vedere il sito delle Associazioni  quali Legambiente, Associazione Consumatori e ancora in pochi hanno firmato online   la petizione  che  ha visto più di due milioni di persone contro questo accordo sui veleni nel piatto. (https://stop-ttip.org/it/firma/), oppure cliccare firma la petizione contro TTIP e CETA).
La  gente deve esser informata: grossi  gruppi economici stanno cercando di avvelenarci con i  cibi,  stanno cercando di eliminare la nostra democrazia scavalcando le nostre leggi  e  i nostri tribunali: vanno denunciati.
Siamo al solito punto: per far lavorare la gente, per fare soldi e profitti, non devi pagare il lavoratore e devi andare con le tue catene di montaggio dove non ci sono leggi, devi avvelenare la gente con i cibi, cementificare, trivellare l’ Adriatico in cerca di petrolio, distruggere l’ ambiente.
Queste persone, rinchiuse in una stanza, con l’ Enciclica del papa in mano, ne  sono sicurissima , anche dopo averla imparata a memoria, sapranno comunque trovare il modo per  distruggere la salute umana  e  l’ ambiente.
Continua……

Prof. Carolina  Manfredini







  

1 commento:

  1. Come possiamo definire questo processo economico?
    Necessario?
    Utile? Se utile a chi è utile?

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